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QUEL MONDO DORATO DELLE CORSE “D’ANTAN”

La contessa Paola Della Chiesa ricorda i primi anni Cinquanta che la videro partecipare con successo a numerose competizioni alla guida di vetture impegnative come la Fiat 8V, la Cisitalia 202 e la prediletta Lancia Aurelia B20. “Da mio marito- un magistrato – ebbi un aiuto determinante”.

 

“Che vita, allora! Magari avevamo guidato tutta la notte e buona parte della giornata: ma all’arrivo si andava dal parrucchiere, ci si cambiava d’abito e via di corsa a una cena, un galà, un cocktail, un ballo. Abiti da sera, gioielli, l’ammirazione di chi vedeva in noi donne pilota, quasi sempre giovani e spesso belle, una specie rara inusitata. Il coté mondain di quegli anni era divertente e gratificante quanto lo era il fare sport attivo”. Ed effettivamente, a sfogliare l’album di fotografie della contessa Paola Della Chiesa Bargetto, pilota torinese molto affermata negli anni ’50, non si sa se soffermarsi ad ammirare di più le belle vetture di cui fu alla guida o le toilette da sera in cui fu immortalata durante le numerose cerimonie i premiazione.

- Com’è nata questa passione per l’automobile?

“Fino a quando sono stata ragazza sapevo a malapena cosa fosse, un’automobile. E’ cambiato tutto quando ho conosciuto l’uomo destinato a diventare mio marito, il conte Luigi Dalla Chiesa. Di professione era magistrato ma coltivava una profonda passione per l’automobilismo che mi trasmise in pieno. Gestiva una piccola Scuderia Macerati e partecipò egli stesso più volte alla Mille Miglia. Mi spinse a prendere parte, appena finita la guerra, a un Concorso di Eleganza: di lì a tentare una gara il passo fu breve”.

- Così ciò che per molte donne ha rappresentato un ostacolo, la famiglia, per lei è stato un aiuto.

“Più che un aiuto. Mio marito mi comprava le macchine, le faceva preparare, mi consigliava su come condurre la gara, mi allenava. Senza di lui non avrei potuto fare nulla. Complimenti non me ne rivolse mai, ma capivo ugualmente che era contento di me”.

-Ne aveva motivo…

“Effettivamente sono stata l’unica donna a vincere consecutivamente tre edizioni della Perla di Sanremo, nel 1952, 1953 e 1954; sono stata inoltre l’unica italiana a partecipare, e con successo, alla Parigi-St. Raphael, una competizione tutta femminile che si svolgeva in inverno su un percorso tutt’altro che agevole. Oltre a questo ho vinto un’infinità di coppe delle Dame, un centinaio”.

- Qual era il tipo di competizione che preferiva

“Ho sempre amato molto la velocità, ma in definitiva mi trovavo più a mio agio nelle gare in salita, come la Susa-Moncenisio, la Aosta-Gran San Bernardo, la alghero-Scala Piccada”.

- Non è mai stata tentata dalla Formula 1?

“No, era un mondo a parte, anche se mi è capitato naturalmente di conoscere pioti e direttori sportivi di F.1. Inoltre, acquistare e mantenere una vettura da grand prix sarebbe stato molto più oneroso e sicuramente mio marito non sarebbe stato d’accordo”.

- Quale gara ricorda con maggiore piacere?

“Forse la Parigi-St. Raphael del 1953. Era una gara durissima, dal percorso molto vario. Quell’anno dovevamo toccare Reims, Lione, Marsiglia, Gap, Sestrières, Torino, Sanremo e, infine, Saint-Raphael: una competizione che durava una settimana intera in cui guidai sempre io perché il regolamento vietava, alle navigatrici, di toccare anche solo un tergicristallo. Ma quanto ci siamo divertite! Ogni sera c’era un ricevimento in nostro onore. E non è che ci arrivassimo tanto fresche: si guidava tutto il giorno, spesso anche di notte, con il freddo, il ghiaccio… I controlli orari erano il mio incubo. Ricordo comunque quella gara con particolare orgoglio: sono stata l’unica a compierla interamente senza incorrere in alcuna penalizzazione”.

- Com’era l’ambiente delle corse automobilistiche femminili?

“Per quanto possa sembrare falso, detto oggi, era un ambiente ideale. Non che fossimo perfette, ci saranno stati tra di noi odi, rivalità, gelosie. Ma si cancellavano di fronte alla sensazione di “avercela fatta” in un campo tradizionalmente maschile. Eravamo ammirate, coccolate, vezzeggiate dagli organizzatori e dagli sponsor, come si direbbe oggi. Che senso avrebbe avuto una grossa rivalità fra di noi quando tutte, indistintamente, eravamo trattate quasi come dee?”.

- Con quali macchine ha gareggiato?

“Tante, Ho corso su Topolino, su Fiat 1100, sulla Moretti 600, sulla Cisitalia; ho anche provato la Fiat 8V, l’Alfa Romeo 1900, l’Aurelia B20. Proprio l’Aurelia, nella versione 2500 è stata la mia preferita: potevo trattarla come volevo, rispondeva sempre bene. Tranne una volta, al Ralle des Alpes del 1952, quando mi si ruppero i freni. Era la prima gara che facevo con mio marito e, visto lo spavento, è rimasta anche l’ultima”.

- Chi erano le sue più forti avversarie?

“In Italia, la Anna Maria Peduzzi e la Ada Pace. Ma in Italia le donne pilote sono sempre state pochissime. La stragrande maggioranza delle concorrenti erano francesi e belghe, come ad esempio la Gilberte Thirion e la Lorraine Dubonnet”.

Cosa occorreva allora a una donna per correre?

“Occorrevano soldi, e non pochi: per comperare le macchine e mantenerle. E una famiglia che non ponesse ostacoli, non creasse impegni. Forse – in scala ridotta – le stesse che occorrono ancora oggi”.

- Perché ha abbandonato le corse all’apice del successo?

“Non sono io ad aver abbandonato le corse, e quel mondo che, quasi di colpo, ha cessato di esistere. Determinate corse, come la Parigi-St. Raphael, non si sono più organizzate. La Perla di Sanremo è stata cancellata. E dire che io, un anno, sono stata chiamata al podio, durante la premiazione di questa gara, per ben tredici volte, per ricevere tredici premi diversi! Premi bellissimi, fra l’altro: allora non venivano distribuite soltanto coppe ma anche oggetti preziosi come spille, portacipria in oro, collane… Era un mondo che non poteva durare a lungo”.

- Le piace ancora guidare l’automobile?

“E come potrebbe piacermi ancora? Oggi avventurarsi in auto per le vie di una città significa lottare per la propria sopravvivenza, subire ogni sorta di villanie, sopraffare o lasciarsi sopraffare. No, non invidio le donne di oggi: sono stata molto più fortunata io”.

Donatella Biffignandi

Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino

(intervista del 1991)

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